giovedì 12 agosto 2010

I GIUDICI REGALANO LE PENSIONI AGLI IMMIGRATI E NOI STIAMO A GUARDARE!


Roma - Per l’Inps è un colpo duro. La Corte costituzionale garantisce l’assegno mensile di invalidità anche agli stranieri extracomunitari. Non più solo a quelli che dopo 5 anni hanno ottenuto la carta di soggiorno, come previsto finora, ma a tutti quelli che hanno i requisiti (non certo i clandestini) e non possono lavorare per un handicap.

Così, mentre governo e Parlamento affrontano la crisi comprimendo lo Stato sociale e tirando la cinghia anche per i benefici agli handicappati, la Consulta va in controtendenza e allarga il numero dei beneficiari dell’assegno.

Così tanto, che alcuni prevedono ora il rischio di una forma di una sorta di «turismo previdenziale» in Italia, con l’arrivo di chissà quanti stranieri invalidi o presunti tali, attirati dalla possibilità di essere mantenuti a spese dello Stato, senza lavorare.

La decisione è già stata presa dai 15 giudici costituzionali, anche se ancora non è pubblica. C’è stata una spaccatura, nella riunione a Palazzo della Consulta, ma alla fine la maggioranza ha accolto il ricorso della Corte di appello di Torino, dichiarando costituzionalmente illegittima la norma che attribuisce l’assegno di invalidità, a italiani, cittadini comunitari ed extracomunitari solo se titolari della carta di soggiorno.

È ancora presto per valutare le conseguenze economiche di questo verdetto, ma certo il nostro già disastrato Istituto per la previdenza sociale dovrà fare i salti mortali per far fronte anche a questo onere. L’assegno è basso, 242,84 euro per 13 mensilità, ma bisogna vedere per quanti si moltiplica. E poi, una volta dichiarato invalido civile, un extracomunitario potrà ottenere a cascata gli altri benefici legati allo status, come la ben più cospicua indennità di accompagnamento e le detrazioni fiscali connesse.

Tutto nasce dalla causa di una romena immigrata in Piemonte che, dopo un incidente, è diventata invalida. Le è stato riconosciuto l’assegno perché comunitaria. Ma lei è andata oltre: ha chiesto gli arretrati, che si riferivano a un periodo in cui la Romania non era ancora entrata nell’Ue. La richiesta è stata bocciata, in base a un articolo della legge del 28 dicembre 2000, nella finanziaria 2001, che subordina appunto l’assegno sociale al possesso della carta di soggiorno. Ma in appello, la Corte di Torino si è rivolta alla Consulta, sostenendo che questa norma è «discriminatoria», contrasta con la «Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» del 1952 e viola l’articolo 117 della Costituzione: quello che obbliga lo Stato a fare leggi, anche in materia di immigrazione, che rispettino ordinamento comunitario e obblighi internazionali.

La Convenzione stabilisce il divieto di discriminazione all’articolo 24: «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione pubblica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione». Un principio bellissimo, ma che deve fare i conti con la realtà e le casse di ogni Paese, lasciando ampio spazio di interpretazione.

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